HUMMUS DI LENTICCHIE ROSSE ALLA CURCUMA

  • 100 gr di lenticchie rosse decorticate
  • 3 carote
  • 1 cucchiaino di curcuma
  • 1 cucchiaino di tahina
  •  2 cucchiaini di curry
  • 1 limone
  • paprika
  • semi di zucca
  • 40 ml di olio extra vergine di oliva
  • sale

Raschia e spunta le carote, poi falle lessare in acqua bollente salata per circa 15 minuti. Scolale, tagliale a rondelle e mettile nel recipiente del mixer. Mentre cuociono le carote, versa le lenticchie in 200 ml di acqua bollente e falle bollire per 20 minuti circa, quindi sgocciolale e uniscile alle carote. Frulla le lenticchie e le carote nel mixer insieme con la curcuma, la tahina, il curry, il succo del limone e l’olio, per circa un minuto. fino ad ottenere un composto omogeneo. Regola di sale, versa in una ciotola e spolverizza con la paprika e i semi di zucca prima di servire int avola.

CREMA DI TOPINAMBUR

  • 250 gr di topinambur
  • 1 fettina di scalogno
  • un ciuffo di prezzemolo
  • 50 gr di scaglie di parmigiano
  • 10 gr di olio evo
  • sale
  • pepe

Lava e pela i topinambur, poi tagliali a fettine sottili aiutandoti con un pelapatate. Fai rosolare lo scalogno in una pentola anti aderente con l’olio evo. Aggiungi i topinambur e lasciali insaporire prima di lessarli versando pochissima acqua bollente alla volta. Quando saranno morbidi, riducili in crema usando un frullatore a immersione. Aggiusta con sale e pepe. Guarnisci con prezzemolo fresco tritato e le scagliette di parmigiano reggiano, poi servi.

 

VELLUTATA DI SEDANO RAPA

  • 400 gr di sedano rapa
  • 150 gr di patate
  • 1 porro
  • 20 gr di nocciole tostate
  • sale

Sbuccia il sedano rapa e le patate con un pelapatate, poi taglia tutto a tocchetti. Pulisci il porro eliminando la radichetta, la guaina esterna e la parte verde scura, poi affettalo sottilmente. In una casseruola, porta a bollore gli ortaggi coperti a filo di acqua salata. Abbassa la fiamma e lascia sobbollire dolcemente per 20 minuti circa. Quando gli ortaggi sono teneri, togli dal fuoco e, con l’aiuto di un mixer a immersione, frullali insieme all’acqua di cottura fino a ottenere un composto liscio e vellutato. Servi la vellutata con le nocciole spezzettate e, a piacere, una presa di petali di fiordaliso secchi.

I RISCHI DELL’ARCHEOLOGIA

Il re francese Luigi XI, preoccupatosi quando un astrologo predisse la morte di una dama di corte, decise di eliminarlo. Dopo aver ordinato alle guardie di gettarlo dalla finestra a un suo segnale lo convocò, ma prima gli chiese: ” Dimmi quanto ti resta da vivere.” Lui rispose: ” Morirò 3 giorni prima di lei, maestà”. E il re lo risparmiò.

PEPERONI

Ne esistono tantissimi tipi, ma quelli dolci si possono ridurre a 2 grandi gruppi: la varietà longum, con forma vagamente conica e allungata,  come il Lungo Marconi o il Corno di Toro; la varietà grossum, con frutti voluminosi e di forma quadrangolare, come il California Wonder, il Quadrato d’Asti e il carnoso di Cuneo. Un altro piemontese famoso è il peperone di Carmagnola Igp, coltivato nel torinese nelle tipologie Quadrato, Corno, Trottola e Tomaticot. In via generale, i peperoni rossi, i più dolci, si sposano bene con i primi; quelli verdi, ad aroma erbaceo,  vanno bene in padella o a crudo nelle insalate; quelli gialli, sono indicati per cotture in umido o ripieni.

OLANDESE: è importato dall’Olanda, dove viene coltivato nelle serre, ed è tra i primi ad arrivare sul mercato.

FRIGGITELLO:  verde, di forma allungata e un po dolce, è ideale per le cotture in padella e le fritture, da cui il nome.

QUADRATO D’ASTI: rosso o giallo, con tipica forma a 4 lobi, con polpa dolce e carnosa. Ottimo imbottito e arrosto.

CORNO DI TORO: di forma conica allungata, a maturazione è rosso brillante. Adatto a peperonata, caponata e conservato sott’aceto.

Peperoni Bell Pepper Peperone - Grafica vettoriale gratuita su Pixabay

TRADIZIONE

La Gallia fu conquistata da Cesare e i romani portarono civiltà e progresso in una regione ancora barbara e primitiva. La città più grande della Gallia divenne presto Lione, la Lugudunum latina. I romani imposero il nome di Lutetia ad un piccolo villaggio che sorgeva su un’isola della Senna, abitato da una tribù celtica, quella dei Parisii. Quel villaggio era destinato a diventare una delle più grandi città del mondo, Parigi. L’imperatore Giuliano lasciò scritto: ” Passai l’inverno nella nostra cara Lutetia, piccola isola nel fiume che è abitata dai Galli Parisii. Vi bevvi del buon vino. ” Non si può dire che i parigini non abbiano onorato la tradizione.

DOPO UN BICCHIERE DI TROPPO

Bere tanto non è indice di maggior forza o virilità, come si credeva nelle società primitive, ma prima di tutto un lento suicidio per il nostro fisico, oltre che una vera e propria piaga sociale. Sono purtroppo all’ordine del giorno, in ogni parte del mondo, i tentativi dei governi per arginare il fenomeno dell’alcolismo giovanile, che miete tante vittime, soprattutto in termini di incidenti stradali. E’ scientificamente dimostrato che, se si beve troppo, si hanno gli stessi riflessi appannati di chi è privato del sonno. Secondo una ricerca australiana, non dormendo per 17 ore di fila si ha lo stesso rendimento di chi presenta un tasso di alcol nel sangue pari a 0.5% che in molti paesi, Belgio, Francia, Grecia, è il limite massimo per guidare. L’alcol agisce come un farmaco sedativo ipnotico e dunque diminuiscono le capacità visive, spaziali e motorie, insorge sonnolenza e i tempi di reazione sono, ovviamente, rallentati: un cocktail micidiale per chi deve guidare. Coloro che invece si ubriacano senza rischiare la vita, si ritrovano, qualche ora dopo, alle prese con quello che in italiano si chiama il dopo sbronza, in mancanza di un termine più preciso, che invece altre lingue contemplano nel loro vocabolario. L’inglese ha hangover, qualcosa che incombe, che opprime, il francese gueule de bois, bocca di legno. Queste parole chiariscono subito come ci si sente dopo aver alzato il gomito: la testa pulsante, una sete violenta, nausea, corpo molle. Si ha un solo desiderio, quello di prendere subito qualcosa per rimettersi in sesto e in questo campo l’umanità, che da sempre indulge al vizio del bere, le ha provate un po tutte. I romani, come scrive Plinio il Vecchio, ingurgitavano un paio di uova di gufo crude, nel medioevo si buttavano giù pezzi di anguilla guarniti con mandorle amare, fino agli attori di Hollywood che, negli anni 50, attuavano la formula del chiodo scaccia chiodo e ricominciavano a bere. Qualche altro consiglio del mattino dopo: farsi un Bloody Mary, mangiare del fritto, bere caffè amaro a tè molto zuccherato. La verità è che a tutt’oggi non esiste un vero e proprio farmaco del giorno dopo contro i postumi di una sbronza. Questo in parte per motivi etici: sembrerebbe infatti di incoraggiare l’alcolismo, eliminandone i sintomi più sgradevoli. Il messaggio è: ” Ti vuoi ubriacare? E allora sappi che soffrirai quando l’effetto dell’alcol sarà svanito”. Per la verità qualche ricerca sperimentale c’è stata, qualche decina di anni fa, ma pare che gli esperimenti siano sfuggiti di mano. I volontari, ubriachi, cadevano facendosi male e tentavano di strisciare fuori dal laboratorio di analisi. Il destino metabolico dell’alcol ingerito nel nostro organismo, l’etanolo, è invece ben noto. Una volta entrato in circolo nel sangue, filtra in tutto il corpo: quello che arriva ai polmoni lo espelliamo con il respiro, mentre quello che termina ai reni con l’urina. La maggior parte, però, arriva al fegato, dove viene affrontato da speciali enzimi che prima lo trasformano in una sostanza ancor più velenosa chiamata acetaldeide e poi in acido acetico, che finisce nella vescica e quindi espulso.  C’è una teoria secondo cui i fastidiosi postumi di una sbronza siano provocati dall’acetaldeide in attesa di essere trasformata in acido acetico. Essa verrebbe confermata dal fatto che in Giappone metà della popolazione porta un gene difettoso per l’enzima addetto a questa trasformazione. Risultato: i giapponesi, sono molto più vulnerabili all’alcol e soffrono più di altri dopo aver ingerito sakè o altri liquori. Secondo altri studiosi, invece, non sarebbe l’etanolo il responsabile del malessere post sbronza, ma il metanolo, che si trova in varia misura in tutte le bevande alcoliche. E’ presente soprattutto nei vini più scuri e in liquori come cognac, brandy di frutta e whisky, mentre distillati come la vodka ne hanno meno. Gli enzimi del fegato funzionano sia con l’etanolo che con il metanolo, ma con quest’ultimo sono molto meno efficaci, perchè ci mettono un tempo 10 volte superiore a degradarlo e a trasformarlo in una sostanza, l’acido formico, molto tossica e in grado di provocare i postumi di una sbornia. Comunque sia, oggi un rimedio esiste e si può trovare in erboristeria: si tratta della Nac, N – acetil – cisteina. Gli enzimi addetti alla scomposizione dell’etanolo, infatti, hanno bisogno di sostanze che li aiutino nel loro lavoro. UNa di queste è il glutatione, utile ad eliminare i radicali liberi che possono provocare nausee. Il glutatione, però, è presente in quantità limitate nel nostro organismo e la Nac consente appunto di aumentare le scorte di cisteina, il suo componente principale. Qui tornano in mente le uova di Plinio: esse, infatti, sono ricche di cisteina e dunque gli antichi avevano trovato, ancora una volta in modo empirico, un valido rimedio per non soffrire dopo aver bevuto troppo. Per altri sintomi  più specifici e fastidiosi, come il martellante mal di testa dovuto al cervello che si restringe per la disidratazione post sbronza, è consigliabile bere molta acqua prima di addormentarsi. Ricostituisce le scorte e lava via l’alcol dall’encefalo, riportandolo allo stato originario.

OLTRE LE NUVOLE

Niccolò Copernico, è stato un astronomo polacco che, riprendendo la teoria di Aristarco di Samo, portò all’affermazione del modello eliocentrico attraverso rigorose dimostrazioni di carattere matematico. La sua teoria, che propone il Sole al centro del sistema dei pianeti componenti il Sistema Solare, si oppone a quella geocentrica di Tolomeo che voleva invece la Terra al centro del sistema.

 

ROCHER BIANCHI E NERI

  • 250 gr di mandorle tagliate a bastoncino
  • 50 gr di zucchero
  • 125 gr di copertura di cioccolato fondente
  • 125 gr di copertura di cioccolato bianco
  • 125 gr di copertura di cioccolato al latte

In una grande padella molto calda metti i bastoncini di mandorla e cospargi con lo zucchero, lascia caramellare per 5 minuti mescolando costantemente fino a quando le mandorle saranno ben tostate. Disponi le mandorle sulla carta da forno, distanziandole fra loro in modo che non si incollino. Sciogli il cioccolato fondente a bagno maria, aggiungi 1\3 delle mandorle tostate, mescola bene per ricoprire tutte le mandorle, quindi forma dei piccoli mucchietti e lasciali asciugare sulla griglia. Ripeti l’operazione con l’altro terzo di mandorle e il cioccolato bianco poi con l’ultimo terzo di mandorle e il cioccolato al latte.