Dal suo piccolo appartamento di Praga non esce quasi mai. Nelle lunghe giornate trascorse quasi senza parlare, il suo sguardo si perde fuori dalla finestra, in lontananza. Nessuno la va a trovare, eccetto qualche volta la figlia Radka. Le poche volte che esce, si reca al centro di igiene mentale di Bohnice, dove è in cura per una forte depressione: ha 71 anni e nella sua mente sfilano i ricordi. Quelli dell’infanzia trascorsi nella modesta casetta di Praga, dove la mamma la educava, assieme ai 4 fratelli, all’amore per la musica. I primi contatti con lo sport, il pattinaggio artistico, un futuro che pareva assai radioso, già a 15 anni. Il personaggio ha un nome che divenne famosissimo negli anni 60: Vera Caslavska, la più grande, la più bella, la più affascinante ginnasta di un’epoca in cui quelle donne come lei erano donne vere, solari, con tutte le caratteristiche femminili, prima che sulla scena irrompessero le ginnaste bambine, fenomeni quasi da circo, eterne donne bambine. Le vengono alla mente i primi passi nella ginnastica artistica, sotto la guida di Eva Bosakova, che avrebbe vinto la trave a Roma nel 1960. Con la piccola Vera, che in pochi mesi sarebbe già stata in Nazionale contro il Belgio, e l’anno dopo avrebbe guadagnato il secondo posto in una gara con l’Unione Sovietica. Una carriera costellata di sempre maggiori successi: ottava ai Mondiali del 1958, oro europeo nel 59 alla trave, a Roma nel 60 ottava nell’individuale, sesta nella trave. Poi un filotto incredibile di successi. 5 ori europei sia nel 65 che nel 67, 3 ori a Tokyo 64, 4 successi mondiali fra il 62 e il 66. Messico 68 doveva significare la consacrazione definitiva, ma in Cecoslovacchia il momento è del tutto particolare. Vera, da fervente patriota, firma il Manifesto delle 2000 parole, che avrebbe scatenato la reazione dell’Unione Sovietica contro Dubcek e la cosiddetta Primavera di Praga. Arrivano i carri armati, tutti ricordano, se hanno l’età, le terribili immagini trasmesse dalla tv, nell’estate del 68, e quel passato ritorna angoscioso e cupo. Vera si rifugia a Sumperk, un piccolo paese fra i monti Jeseniky, vicino a Ostrava, per evitare guai peggiori: ha abbandonato il campo di allenamento ufficiale in Moravia, e si allena portando in giro sacchi di patate, ma, ciononostante, viene inserita all’ultimo momento nella squadra per le Olimpiadi di Città del Messico. Parte, con il cuore gonfio di angoscia, mentre il fratello Vaclav è nelle mani della polizia politica, accusato di attività anti sovietica. In Messico Vera trova la forza per reagire alla congiura del destino e si batte come una leonessa, vincendo 4 ori, un trionfo incredibile. Il giorno dopo l’ultima vittoria, ecco la ciliegina sulla torta. Dopo il rito civile, nella cattedrale cattolica, sposa, con la benedizione del presidente messicano Gustavo Diaz Ordaz, Josef Odlozil, mezzofondista e compagno di squadra. Ancora sorrisi, baci e lacrime che ritornano sia nei ricordi che negli occhi. La via crucis del ritorno a Praga, la disperata ricerca di un lavoro, di un incarico qualunque. Alla fine, nel 74, finalmente un posto allo Sparta Praga, con l’impegno di ritirare l’adesione al Manifesto delle 2000 parole, di non rilasciare interviste, di non uscire dal paese. Nel 79 il presidente messicano Portillo la invita in Messico per lavorare, allenando gli atleti della nazionale, e lei accetta, trascorrendo 2 anni con il marito e i 2 figli nel posto dei suoi trionfi olimpici. Di ritorno a Praga, negli anni 80, vede morire il fratello Vaclav a 33 anni, minato ormai nel fisico e nel morale. Muoiono pure il padre e la madre, ed anche il matrimonio finisce: nell’87 resta sola, con i figli Martin e Radka. Torna per poco un periodo felice: nasce la Repubblica Ceca, presieduta dal drammaturgo Vaclav Havel, che la vuole accanto a sè come consigliera. Vera accetta il posto di presidente del Comitato olimpico Ceco, dal 90 al 93. Poi tornano le lacrime. Fuori da una discoteca, durante un litigio, il figlio Martin colpisce il padre con un pugno; questi cadendo a terra sbatte la testa e dopo 4 settimane di come muore. Adesso Vera non ha più lacrime e fatica anche a coltivare i ricordi: il figlio viene condannato a 4 anni per omicidio preterintenzionale. Dopo 3 anni il presidente Havel concede la grazia, a seguito di una petizione firmata da molti esponenti della Primavera di Praga, fra cui anche Emil Zapotek. Vera non ha firmato, non ha voluto chiedere nulla, ma la seconda moglie dell’ex marito e le sue 2 sorelle la accusano lo stesso di aver fatto pressione sul presidente, perchè compisse un atto ingiustificato. Il paese si spacca e qualcosa anche dentro Vera si rompe. Ormai non contano più nulla i passati trionfi e l’apoteosi messicana, con i 4 ori dedicati al segretario del partito Dubcek, al primo ministro Cemik, al presidente Svoboda e al presidente del Parlamento Smrkovsky. Tutta gente spazzata via dalla normalizzazione insieme ai migliori ricordi. Il mondo di Vera, che nel 1968 era stata acclamata insieme a Jacqueline Kennedy donna dell’anno, è ormai, per sempre, un altro.
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