CURIOSITA’

I frigoriferi di comunità, diffusi in diverse città italiane, consentono di condividere cibo prossimo alla scadenza ed evitare che vada buttato. In città come Milano, gli sprechi domestici costituiscono più del 40% dello spreco annuale, con costi superiori a 450 euro a famiglia.

IL TEMPO

La complessità del concetto tempo è da sempre oggetto di studi e riflessioni filosofiche e scientifiche. Secondo Sant’Agostino di Ippona il tempo è stato creato da Dio insieme all’universo, ma la sua natura resta profondamente misteriosa, tanto che afferma ironicamente:” Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so”. Molte società primitive erano solite osservare i corpi celesti, spesso il Sole e la Luna, per tenere traccia del tempo e determinare in quale giorno o stagione si trovassero. il periodo più semplice e naturale della divisione del tempo è il giorno. La sua divisione in 24 ore e dell’ora in 60 minuti risale agli egizi, che usavano la numerazione duodecimale, cioè con base 12, e quella sessagesimale, con base 60, con cui ancora oggi comunemente misurato il tempo sia in Occidente che in Oriente. Dall’antichità l’uomo ha utilizzato diversi strumenti per misurare lo scorrere del tempo, come lo gnomone, la meridiana, la clessidra, le candele marcatempo, poi le campane, e infine dal XIV secolo gli orologi meccanici. Nel 1656 fu brevettato l’orologio a pendolo che rimase a lungo il più preciso dispositivo di misurazione del trascorrere del tempo. A partire dal XX secolo esso è stato superato in precisione dall’orologio al quarzo prima e dall’orologio atomico poi. Un’altra invenzione per rappresentare graficamente il tempo sono stati i calendari, che tengono traccia del passare dei giorni, settimane, mesi e anni. Ogni civiltà ha un suo calendario, che deriva dalla cronologia adottata. In origine l’idea del tempo era circolare, legata ai cicli della natura. Una nuova concezione viene introdotta dal cristianesimo. Nel pensiero cristiano infatti il tempo è concepito in senso lineare progressivo e non più circolare ciclico. Il mondo e la storia hanno avuto un inizio e avranno una fine. Perciò, in Cristo, il tempo storico diventa la condizione per fare ritorno a Dio nella vita eterna.

LA CASA PROFUMA DI SPEZIE

Riunite in un barattolo di vetro un po di frutta secca, bacche, stecche di cannella, chiodi di garofano. Aggiungete 20-30 gocce del vostro olio essenziale preferito, chiudete il barattolo e lasciatelo riposare una notte. Apritelo e posizionatelo a piacere. Un trucco per mantenere più a lungo il profumo del pot pourri? Mescolate il contenuto con 1 cucchiaino di amido di mais. Per un effetto più scenografico, potete aggiungere qualche fettina di arancia dopo averla essiccata: versate in un pentolino 65 gr di zucchero in 50 ml di acqua e scaldate lo sciroppo fino a sfiorare l’ebollizione. Fuori dal fuoco, immergetevi le fette di arancia per qualche minuto, sgocciolatele e fatele essiccare in forno 100° per 2 ore. Se volete usare il pot pourri come anti tarme, raccoglietelo in sacchettini di stoffa e bagnateli con qualche goccia di olio essenziale di lavanda, cannella o cedro e riponeteli in armadi e cassetti.

GIANNINA CENSI, PIONIERA ECLETTICA DELLA DANZA

Prima di lei altre ballerine erano diventate famose danzando sui palcoscenici dei teatri più celebri del mondo, ma nessuna con il medesimo piglio innovativo: Giannina Censi, coreografa oltre che ballerina, fu una fantasiosa innovatrice del mondo della danza, avendo ispirato la sua grande passione al fermento del movimento futurista. Con lei nacque un nuovo modo di intendere il movimento del corpo, che coniugava la fluidità alla tecnica acrobatica. Certo la famiglia non la ostacolò nei suoi ambiziosi e straordinari propositi. Nata a Milano nel 1913, poteva contare sull’appoggio di entrambi i genitori: il padre Carlo era compositore e professore di musica al Conservatorio di Milano, la madre Carla era pianista e cantante. Un Dna eccellente dunque, e la fortuna di crescere in una famiglia che con la musica e il mondo dello spettacolo non poteva non avere grande dimistichezza. E infatti, se si può immaginare che la piccola Giannina abbia iniziato prestissimo a muovere i primi passi a suon di musica, non ci sorprende del fatto che nel 1926, ancora preadolescente, intraprese studi adeguati al suo talento: dapprima con un’insegnante di danza alla Scala, Angelina Gini, giungendo all’esordio teatrale 3 anni dopo, al teatro Licinum di erba, con 2 esibizioni del repertorio classico. Giannina aveva un carattere esuberante e passionale, non c’è dubbio, ma non le mancarono mai perseveranza e perfezionismo, doti che l’avrebbero aiutata in maniera considerevole nel maturare svariate esperienze professionali, fino alla conquista di una grande popolarità e all’azzardo dell’innovazione. Ed è così che ancora giovanissima, appena diciassettenne, decise di recarsi a Parigi, desiderosa di perfezionarsi nella danza classica ma anche di cimentarsi in stili differenti, prendendo infatti lezioni di flamenco e danza indiana, e facendo le sue prime conoscenze importanti, tra le quali l’allora già nota Josephine Baker. L’anno della svolta fu il 1930, in cui la Censi volle cimentarsi in qualcosa di nuovo, in perfetta sintonia con la cultura del suo tempo. Approdò così all’aerodanza, ideata dal pittore, scultore, scenografo e costumista Enrico Prampolini, sulla scia del rinnovamento suggerito dal futurismo in ambito culturale e artistico. Non sempre le sue esibizioni trovarono l’accordo del pubblico: Giannina Censi si esibiva a piedi nudi, senza musica di fondo e senza il classico tutù, indossando una scandalosa tuta di raso grigio. Si muoveva in maniera veloce, quasi meccanica, si è detto più da atleta che da ballerina, dimostrando un’originalità espressiva che, a quel tempo, da alcuni, fu giudicata una sorta di oltraggio alla danza classica. Basti pensare che alcune rappresentazioni furono salutate con lanci di pomodori, come avvenne nel corso di una esibizione come ètoile nello spettacolo di Filippo Tommaso Marinetti intitolato Simultanina, divertimento futurista in 16 sintesi, portato in scena nel corso di una tourneè teatrale nel 1931. Ma Giannina, con la fierezza e l’intraprendenza di sempre, non si lasciò mai prendere dallo sconforto e continuò il suo lavoro, imperterrita. La stessa forza di carattere la dimostrò alcuni anni più tardi, quando il successo del futurismo stava ormai sfumando e soprattutto in seguito ad una brutta lesione al menisco. Dovette abbandonare l’attività professionale, anche perchè nel frattempo era diventata mamma, suo figlio Cristiano sarebbe stato attore, ma non lasciò il mondo della danza, decidendo di dedicarsi all’insegnamento. Dotata anche di un’inesauribile operosità, aprì scuole di danza sulla Riviera Ligure, a Sanremo, Genova, Rapallo e Nervi, a Milano e a Voghera, interessandosi ai talenti delle giovani generazioni, ma senza dimenticare gli anziani, per prima ideò dei corsi di ginnastica per la terza età. Danzò praticamente quasi fino alla fine dei suoi giorni, scomparve a Voghera nel 1995, lasciando ai posteri il ricordo di una danzatrice talentuosa ed eclettica, ma soprattutto l’immagine di una donna dotata di uno straordinario e ammirevole spirito di indipendenza. Nell’epoca in cui visse, altre donne abbracciarono carriere importanti nel mondo dello spettacolo, ma Giannina Censi fu anche qualcosa di più di un’emblema sociale dell’emancipazione femminile: sfidò la tradizione, imponendo un modo diverso di concepire i movimenti del corpo, diventando lei stessa pioniera del nuovo.

AMMAZZARE IL TEMPO: DALI’ E GLI OROLOGI MOLLI

Bisognerebbe rivalutare l’importanza dei latticini nella storia delle arti. Renzo Piano, uno dei più importanti architetti contemporanei, racconta divertito che l’ispirazione per una sua creazione gli era venuta un giorno, dopo aver inciso un pezzo di parmigiano con un coltello a mandorla. Ne era uscita una forma strana, che gli avrebbe fatto venire in mente di applicarla al suo lavoro. Salvador Dalì, eccentrico e geniale pittore catalano, deve ringraziare invece il camembert per uno dei suoi dipinti più famosi, La persistenza della memoria. Lui stesso rivelava che, in una sera del 1931, la moglie Gala voleva andare al cinema con degli amici. Lui aveva mal di testa e così rimase a casa. A cena si trovò di fronte la lasta grassa e molle del celebre formaggio francese e gli venne un’idea. Stava lavorando ad un quadro che rappresentava uno scorcio del paesaggio vicino a Port Liligat, sulla Costa Brava, località dove era solito andare per le vacanze. Un dipinto che probabilmente sarebbe rimasto senza pretese e che lui, in appena 2 ore, trasformò in un capolavoro assoluto del Surrealismo. Aveva associato l’ipermollezza del formaggio allo scorrere del tempo, un concetto filosofico a cui si aggrappò con le tempie che gli pulsavano. Su quella marina mediterranea Dalì applicò degli orologi che sembravano squagliarsi al sole e infatti, come primo titolo, l’opera venne da lui chiamata Gli orologi molli. Quando la signora Gala tornò dalla sua serata cinefila, quest’olio su tela era già pronto. E fu immediatamente chiaro a tutti che sarebbe stato classificato tra i capolavori della pittura contemporanea. Nel 1932 venne subito acquistato da un lungimirante gallerista di New York, Julien Levy, che gli diede il tocco finale, cambiando il titolo in quello, più accattivante, de La persistenza della memoria, che gli sarebbe rimasto per sempre. Tempo 2 anni e il Moma di New York, l’istituzione museale più importante al mondo per l’arte moderna e contemporanea, lo comprò per 350 dollari. Oggi si trova ancora lì, presentato come un capolavoro del Surrealismo. Da quando, alla fine degli anni 20 del XX secolo, Dalì si era trasferito a Parigi, aveva manifestato molto interesse per la psicanalisi di Freud e la teoria dell’interpretazione dei sogni, ma nel quadro del 1931 c’è anche di più: quegli orologi molli sullo sfondo di una landa deserta rimandavano anche alle nuove teorie della relatività di Einstein o al concetto di percezione del tempo di Bergson. L’orologio che si scioglie significa la sconfitta del tempo misurabile, del fluire reale delle ore, di fronte alla soggettività della percezione e della memoria. Il tempo è curvo, elastico e soggettivo. Lo sfondo del quadro è un cielo giallastro e azzurro, in un giorno di calma piatta, dove il mare è una tavola immobile e le rocce che si scorgono in lontananza sono prive di vegetazione e di ogni forma di vita. Nessun essere umano compare in quest’opera. Sulla spiaggia bruna, accasciati e quasi stremati, simili a naufraghi che abbiano appena toccato terra, 3 orologi sembrano come stesi ad asciugare. Il primo pende inerte dal ramo di un ceppo di ulivo privo di foglie e ormai secco; il secondo è mollemente appoggiato ad una curiosa struttura biancastra, dello stesso colore degli ossi di seppia. In realtà, se si guarda attentamente, si riesce a vedere in quella figura una parvenza antropomorfa: un naso, una palpebra chiusa e delle ciglia forse troppo lunghe. Un terzo orologio aderisce come una gomma da masticare ad un parallelepipedo, lo stesso su cui poggia il ceppo di ulivo. Notiamo che sul quadrante c’è una mosca. Un po più in basso, a sinistra, si trova un ultimo orologio, che però questa volta è chiuso e acceso da un color arancio vivo. Sopra, brulicano le formiche. La mosca e il relitto biancastro lasciato dal mare fanno pensare al tempo come ad un cadavere che si decompone, qualcosa che non ha un valore assoluto, ma relativo, fallibile come gli strumenti umani che cercano di misurarlo. La percezione di questo e il suo scorrere oggettivo, dunque, sono cose diverse. Sopra la vecchia concezione del tempo ora banchettano le formiche, unica presenza viva del quadro insieme alla mosca: le mosche vanno sulle carogne, le legioni delle formiche sono in grado di spolpare qualsiasi cosa in un attimo. Dalì provava nei loro confronti una vera e propria fobia che risaliva alla sua infanzia, quando le vide attaccare e fare a pezzi, divorandolo, un coleottero.

L’INVENZIONE NON PORTO’ FORTUNA A LEE

Nel 1859 l’inglese William Lee ideò un telaio a mano per fare le calze, ma la regina Elisabetta I si rifìutò di patrocinare l’invenzione, non volendo danneggiare chi le produceva lavorando ai ferri. Secondo alcuni storici, Lee emigrò allora in Francia, dove riuscì ad aprire una fabbrica a Rouen grazie all’appoggio di Enrico Iv, ma alla morte del sovrano perse ogni favore e si ridusse in miseria.

LE VIE DELLA SPERANZA

Chi ha la fede e ascolta il messaggio di pace che ogni anno il Santo Natale ci propone, crede che l’essere umano è fatto di una carne che ha i suoi limiti e le sue ombre, ma che è anche pieno di luce divina, di intelligenza, di un anelito insopprimibile all’infinito e all’eterno. E soprattutto, se noi crediamo che Dio è amore, come Gesù Cristo ci ha rivelato, possiamo sperimentare che l’umano ha la capacità di amare e in tal modo può fare miracoli: la fede e l’amore dissolvono tutte le nostre paure e possono darci l’energia inesauribile della speranza che c’è possibilità di salvezza per tutti. Allora guardiamoci in giro e chiediamoci perchè i Italia ci sono 20 milioni di cani e gatti mentre per le nascite di bambini siamo il paese che ha il più terribile inverno demografico di tutto il pianeta. Cosa è, se non la mancanza di speranza, che spinge i giovani a non sposarsi e a non fare figli, a non vedere un futuro? Stiamo estinguendoci ad una velocità spaventosa. Tra i ragazzini che hanno avuto almeno la grazia di nascere, oggi si sta diffondendo il fenomeno detto stare in disparte, e solo a Milano ce ne sono 3 mila che vivono tutta la loro vita chiusi in casa ed anzi nella loro stanza rifiutando ogni contatto con l’esterno. Si sta creando una spaccatura forte tra adulti e bambini, alcuni dei quali vengono spinti al suicidio da quello che vedono stando incollati ai cellulari. Forse troppi di noi hanno creduto che si doveva lasciare libertà illimitata ai bambini, e che era vietato vietare, e che non si doveva condizionarli con un’educazione ai valori personali e sociali. Ora vediamo che la libertà infinita non solo non esiste ma produce ragazzi prigionieri della libertà intesa in modo distorto. Molti dei nostri figli sono abbandonati a se stessi, in balia della comunicazione social e travolti da una valanga di informazioni senza avere la formazione per capire e discernere. Davanti a questa situazione è ancora possibile trovare rimedi? E noi che crediamo in colui che è la Via, la Verità, la Vita, possiamo fare qualcosa di quello che è necessario e costruttivo? Certamente si.